Rassegna Stampa

Marzo 2003

I grandi cru dell’olio

da “Gran Gourmet”, di Salvatore Marchese, foto di Johann Willsberg

I nobili extravergine si comportano come i nobili vini. Ma siamo pronti per riconoscerli ed apprezzarli?

Negli ultimi anni l’interesse per l’olio extravergine di oliva è enormemente cresciuto. Per quello italiano, soprattutto, riconosciuto come il migliore in assoluto per la sua piacevolezza gustativa e il più interessante per le note diverse di sapore legate agli specifici e numerosi microclimi.
Lo si riconosce di più ma questo non significa che oggi si sia affermata una solida e reale cultura del nettare verde di qualità assoluta. Non è un caso, peraltro, che la legge non dia alcuna indicazione relativa ai profumi ed ai sapori che dovrebbero definire un prodotto come si deve. Tutto deve essere espresso in percentuali e poco più: e i numeri, che riguardano la percentuale di acidi grassi ed altre sostanze, si possono cambiare a piacere (e non per il piacere della nostra soddisfazione sensoriale). D’altra parte non sono moltissimi coloro che possono giudicare con affidabilità le giuste virtù di un extra vergine frutto della natura e dell’applicazione sensibile del coltivatore. Sono moltissimi purtroppo, quelli che ragionano ancora s’esclusivamente in base al prezzo piuttosto che in base alla pregevolezza della qualità. Insomma, vige ancora un po’ di confusione che, da soli, i cuochi, nonostante il loro impegno, non riusciranno a vincere facilmente.

Etichette misteriose
Rispetto al mondo del vino, nel quale la denominazione d’origine controllata (e sempre più spesso, garantita) ha costituito un punto di riferimento preciso, sia pure con pregi e difetti, per una effettiva valorizzazione dell’olio, sia pure con pregi e difetti, per effettiva valorizzazione dell’olio l’impatto della denominazione d’origine protetta sul mercato è stato piuttosto blando.
In molti casi si ha l’impressione che la Dop sia stata risolta come una pratica amministrativa senza alcuna preoccupazione per la soddisfazione di chi, quellolio, lo acquista e lo consuma. Forse è un problema di informazione. Ma a chi spetta davvero il compito di informare? Per quanto concerne il meraviglioso grasso vegetale, il più puro, il concetto di equilibrio tra risorse del territorio, qualità e carattere non è ancora molto familiare. In tanti continuano a ritenere che il pizzicore dei polifenoli, pregiata peculiarità di varietà come il moraiolo, sia un fote di acidità. Le industrie olearie, infatti, puntano sulla delicatezza del sapore attribuendogli inesistenti vantaggi dietetici.
In questa direzione c’è molto da lavorare. Per rendere efficaci le Dop è indispensabile l’assoluta trasparenze dell’etichetta, che dovrebbe riportare tutte, ma proprio tutte le indicazioni delle cultivar impiegate, il frantoio, la quantità di bottiglie ottenute, le aree di raccolta delle drupe e su ogni altro elemento adatto a dare sostanza e credibilità all’idea della più schietta genuinità del prodotto. Questo può garantire l’acquirente, il ristoratore il proprietario di enoteca o consumatore, che l’olio extravergine proviene da una zona determinata.
Dopo, tuttavia, al ristorante, nasce un ostacolo non da poco per il fatto che una bottiglia di olio non si può accarezzare e studiare come una bottiglia di vino, per evidenti motivi pratici. Di frequente il Nettare di Bacco viene associato all’olio. Ma tra i due prodotti esiste un’incolmabile differenza. Se molti, infatti, sborsano volentieri anche 250/300 euro per un grande rosso, mai e poi mai le medesime persone sarebbero disposte ad accettare come del tutto adeguato il prezzo di 15-20 euro per bottiglia di olio extravergine (che dura molto di più nelle specifiche condizioni di condimento).

Oli col nome proprio
Valorizzare le peculiarità delle varietà di olive appare come un determinante passo avanti nella ricerca della qualità totale. L’obiettivo è senz’altro ambizioso. E, paradossalmente, forse fin troppo all’avanguardia rispetto al modo in cui molti si rapportano all’olio.
Se è relativamente semplice distinguere tra san giovese, nebbiolo, cabernet e merlot, non è altrettanto facile apprezzare la differenza tra tagiasca, moraiolo, leccino, nocellara di Belice, cima di Bitonto, bosana di’Ittiri. Senza contare la persistenza dei luoghi comuni. Si pensi alla popolarità dell’olio toscano. Ma toscano di dove? Della Maremma, dell’Amiata, del Chianti, di Montalcino? E nella terra del Brunello, la parte a nord o quella a sud-ovest? Da un cru all’altro, mutata la consistenza del suolo, l’altitudine e l’intensità delle escursioni termiche, variabili che tutte influenzano gli aromi.
La riflessione (e il capovolgimento) sl valore delle produzioni del Sud per il vino ora tocca anche all’olio. Un moderno approccio scientifico e razionale ha permesso un prodigioso balzo in avanti, ed è proprio nelle regioni meridionali, guarda un po’, che le coltivazioni olivicole sono spesso improntate alla monovarietà. La coincidenza di parecchi fattori, insomma, ha contribuito a proiettare inaspettatamente all’attenzione dei gastronomi più attenti gli oli della Calabria e della Sicilia, e in particolare quelli dei monti Iblei, nei dintorni di Ragusa, oggi ritenuti tra i migliori in assoluto. Tutti questi fermenti, però, hanno fatto capire quanto ancora ci sia da imparare sull’argomento. Sfatando sorpassati luoghi comuni.

L’olio denocciolato
Altro tema del dibattito più attuale è la frangitura delle olive denocciolate. Le prime esperienze hanno dato esito positivo, conferendo all’olio finezza ed identità personale, eppure la discussione è apertissima. Pare quasi di essere tornati indietro di venti anni all’epoca delle prime prove della barrique, considerate perfino strumenti diabolici da guardare con sospetto. Il profeta è lo stesso: Luigi Veronelli. E nessuno può certo metterne in discussione il sapere e la fecondità delle intuizioni. Nei vari interventi scattano complessi meccanismi interpretativi, si sa. Ma per l’olio bisogna fare molta attenzione per non creare confusione perché l’effetto potrebbe andare tutto a vantaggio dell’industria, cosa della quale i produttori artigianali farebbero volentieri a meno.
In un momento così delicato i cuochi possono svolgere un ruolo fondamentale di educazione culturale e gastronomica mettendo in rilievo con le loro ricette la peculiarità degli extra vergine, d quelli denocciolati, ai tradizionali, a quelli nati da una unica specie di drupa. Non da alchimisti, ma da benemeriti maestri del buon gusto.