Dossier

Febbraio 2001

Manifesto in progress. Per una nuova cultura dell’olio d’oliva.

Edizioni Veronelli n° 57

10 aprile 2001
Ciascuno avverte. È in corso un epocale mutamento sociale. Coinvolge appieno l’agricoltura.
Il divenire, per molti aspetti rivoluzionario, del comparto olio d’oliva è già iniziato. È sostenuto dalle persone che hanno lavorato e lavorano per la qualità e l’onestà. Con i vecchi criteri si potrebbe fare al massimo un olio onesto. Con le tecniche mirate alla qualità (e non come succedeva antan alla quantità), sarà invece possibile fare oli d’eccellenza.

Il nuovo paradigma
Un passo alla volta: nell’ultimo giro d’anno si è verificata quella che si potrebbe chiamare, mutuando il linguaggio dalla filosofia della scienza, una rottura epistemologica, ossia uno stravolgimento dei concetti da cui parte una teoria e un’analisi razionale. Grazie a un dibattito continuo e rigoroso e al confronto fondante di una agguerrita avanguardia di persone si è giunti alla definizione di nuovi criteri di concezione, produzione, qualità e tracciabilità dell’olio d’oliva. Un vero nuovo paradigma.
1. In etichetta devono essere riportati:
a) il nome e la qualità del produttore (se industria, imbottigliatore, frantoio, cooperativa o azienda agricola);
b) l’esatto luogo di produzione (la Regione, l’eventuale DOP, il Comune e il relativo mappale in cui sono coltivati gli olivi);
c) il nome e la qualità del Frantoio di molitura - se di proprietà o di terzi - e il luogo in cui si trova:
d) la data di raccolta e di molitura e non quella di imbottigliamento come avviene oggi;
e) il tipo o i tipi delle cultivar:
f) il numero di olivi per ettaro e la loro fascia di età:
g) la quantità di olio prodotto.
2. L’etichetta - veritiera - sia accompagnata dall’analisi chimica - effettuata da un laboratorio accreditato - chiara e con informazioni utili (acidità, perossidi e polifenoli).
3. Censimento oleicolo regionale (sia delle piante in coltivazione sia delle piante in gerbido).
4. Eventuali contributi siano elargiti direttamente ai contadini sulla base delle piante possedute e coltivate e non - come avviene oggi - sulla quantità di olio prodotto (questo metodo spinge infatti al raggiro). Olivicoltori e frantoiani sono stati costretti per soppravvivere ad adeguarsi al commercio delle bollette.


Qualche conto in tasca ai truffatori
Anche su bottiglie di “extravergine” venduto a 5.000 lire, o addirittura meno, troviamo impressa la dicitura “olive raccolte con brucatura a mano”. Si tratta di una vero e proprio inganno, considerato che:
a) un esperto bracciante agricolo non riesce a raccogliere in otto ore di lavoro più di 100 chilogrammi di olive;
b) la resa media nazionale è del 15% in olio (se ne hanno quindi - ripeto: mediamente -15 litri);
c) il bracciante agricolo è remunerato con circa 12.000 lire orarie, a cui vanno aggiunte 6.000 lire di trattenute; di conseguenza la sua giornata di lavoro viene a costare 144.000 lire.
Questo significa che 15 litri di olio costano - di sola raccolta -144.000 lire, cioè 9.334 lire al litro, prima della frangitura. Vanno poi aggiunte le spese della frangitura, dell’imbottigliamento e della commercializzazione. Gli oli venduti a prezzi impossibili nei supermercati sono frutto di lavoro in nero sottopagato, olive avariate e inquinate raccolte con le ruspe, correzioni “chimiche” di olio lampante e altro ancora.

Grande varietà di cultivar
In particolare oggi, vanno superate le riduttive distinzioni tipo olio forte e olio delicato e riconosciuta l’esistenza delle numerose tipologie di olivi in coltivazione in Italia. Più di 500 varietà (cultivar) : leccino, casaliva, biancolilla, frantoio, taggiasca, coratina, moresca, carolea, continua continua; ciascuna con caratteristiche diverse da Regione a regione, più ancora, da luogo a luogo. Paesi come la Francia e la Spagna ne possiedono molto meno: 40-50 al massimo, ma utilizzate in pretica: 4-5. Come non sottolinearlo? Noi abbiamo più di 500 varietà, capaci di produrre un’infinità di cru d’eccellenza solo si moltipllchino per il numero proprio infinito di territori con diversa qualità di terreni e microclimi. Il che ci rende, fuori d’ogni possibile dubbio, i soli protagonisti qualitativi del mercato oleicolo (la stupidaggine espressa dai colleghi americani di Wine Spectator, mese ultimo di novembre, essere l’olio spagnolo migliore, resta vera e propria stupidaggine, carica di ben congeniali veleni. Se ne possono vergognare).
L’oleicoltura italiana rappresenta uno sconosciuto patrimonio gustativo e propositivo. Si tratta di veri e propri giacimenti, tutti da scoprire. Una ricchezza immensa, tanto immensa da non poterne tentare neppure una valutazone. I francesi hanno tracciato la via del vino e sono stati per secoli i più grandi del mondo. Gli italiani che nel comparto enoico stanno raggiungendo i cugini d’oltralpe - per quanto riguarda l’olio già sono considerati ai vertici. Lo divengano nei fatti con la produzione dei grandi oli, denominati proprio secondo la specificità dei varietali (da usare sia per se soli, sia in meditati assemblaggi) e dei precisi luoghi di provenienza. Solo dopo tali esperienze si potranno effettuare sia oggettive valutazioni da parte degli esperti (panel), sia calibrati e ragionati assemblaggi di più varietà. Nel mondo enoico esistono grandi uvaggi conosciuti e riconoscibili; avverrà anche nel mondo oleico con l’assemblaggio delle diverse cultivar finalmente frante per sé
sole. Gli olivaggi - termine che si potrebbe adottare ad indicazione delle miscele di oli di diverse cultivar frante separate - sono stati fatti fino ad oggi, o per frode o per comodità e necessità, quasi mai per scelta ponderata alla qualità.

Un mondo nuovo
La frangitura per cultivar, nel rispetto dei criteri di qualità di raccolta e frangitura, apre un mondo nuovo con la cognizione della qualità e del gusto (le cosidette aratteristiche
organolettiche)

Oli monocultivar e assemblati
II mutamento del mercato, di giorno in giorno più giovane e selettivo, impone la frangitura per cultivar, così da dare al consumatore veri e propri parametri per la valutazione di ciascun olio.

L’olio come il vino. L’olivo come la vite.
Tutte le piante di vite sono tra loro esteriormente simili. L’uomo sa, dai tempi, che da vari vitigni si possono ottenere vini distanti fra di loro come caratteristiche organolettiche: come colore, profumo e sapore.
Non solo: lo stesso vitigno, coltivato in zone diverse, da origine a vini diversi. Così è anche per l’olio. Esteriormente le piante possono essere molto simili (quasi sempre però non lo sono) ma le varie cultivar e le zone dove sono cresciute danno olive di qualità diversa e quindi oli “individuali” con peculiarità comuni e nello stesso tempo differenze date dal microclima e dalla composizione del terreno. Produrre oli derivati da un solo tipo di cultivar significa esaltare non solo la tipicità della stessa, ma anche del luogo dove è cresciuta (qui il pensiero corre a un possibile strepitoso Gargnà - dall’omonima cultivar del Lago di Garda). Bisogna quindi produrre oli che rispettino le cultivar e il luogo d’origine. Ciò è avvenuto, più di mezzo secolo fa - sempre su mia forte suggestione - per il vino, con il riconoscimento delle diverse tipologie di vitigno (barbera, merlot, nebbiolo, pinot nero, pinot bianco, chardonnay, cabernet sauvignon, cabernet frane, molti altri ancora) e per la loro diversificazione secondo aree geografiche, sino al cru.
Nonostante una quarantennale esperienza di analisi organolettiche, non sono riuscito ad “entrare” quanto voglio (la stessa “proterva” sicurezza che ho nei vini) nell’assaggio degli oli. Mi acquieta pensare che non è ancora possibile la tracciabilità gustativa degli oli proprio per la mancanza di parametri e di paletti. In primis vanno proprio definiti i caratteri degli oli da monocultivar.
Con l’impegno mio e d’altri è in atto la volontà di una ricerca lessicale adeguata e di una sistematizzazione della teoria degustativa.

I sommeliers dell’olio
Dopo la “rivoluzione” proposta - permetterà la definizione di tipicità dei vari prodotti - l’esistenza di veri assaggiatori di olio sarà tecnicamente possibile. Attraverso l’opera degli esperti e, in particolare, degli Chef e dei Sommelier, si riuscirà a stabilire l’elettivo matrimonio tra gli oli e i piatti. Non più l’olio di oliva, ma gli oli d’oliva. Nessun cuoco di soia ci dirà che l’olio d’oliva per friggere è pesante e non adatto. Il cuoco attento sceglierà - faccio esempi - non un qualsiasi olio d’oliva per friggere, ma l’olio d’oliva cultivar casaliva della sponda occidentale del Garda per un particolare tipo di frittura di verdure e l’olio d’oliva da leccino del Salente per la frittura di pesce. E per la finitura dei piatti le possibilità di scelte e di abbinamenti saranno entusiasmanti. Luciano lissana, forse il massimo conoscitore d’oli tra gli chef, usa ad esempio l’olio d’oliva da taggiasca per la entrée di “nervetti di vitello con scalogno e carote”. La grande ristorazione proporrà una carta degli off per soddisfare i palati dei clienti educati all’abbinamento olio-pietanza. Non voglio sminuire il lavoro delle attuali associazioni di assaggiatori, ma è evidente che il nuovo paradigma oleicolo impone una revisione anche di questo settore. E’ quindi proprio il sommelier il soggetto più adatto, visto il percorso parallelo al vino che l’olio di qualità finalmente compie. Ciascuno che mi legge conosce l’antico affetto, l’ammirazione e la stima che mi legano all’associazione italiana dei Sommeliers. Ho fatto e faccio preciso invito: si propongano, dopo un attento studio, come conoscitori, e integrino cognizioni finora impensabili.

Nascita dell’azienda agricola a filiera produttiva completa
Come è avvenuto 50 anni fa per il vino attraverso la selezione dei vitigni, i proprietari di oliveti - un milioneduecentomila secondo l’ultimo censimento ISTAT - divengano aziende agricole produttrici di olio di oliva con filiera completa (raccolta, frangitura immediata e imbottigliamento). La mirabile, più ancora che mirabile, miracolosa trasformazione è resa possibile sia dal nuovo imperativo categorico della frangitura cultivar per cultivar, sia dalla comparsa sul mercato di piccoli frantoi (50-100 kg all’ora) di ottima qualità e a prezzi convenienti.

Cooperative e frantoi
Anche le Cooperative e i frantoi possono, attuando la raccolta e la frangitura per cultivar, acquisire migliore identità e distinguersi dalle grandi industrie, nella pratica proprietarie dei marchi e delle DOP.

Una nuova economia di reale qualità
La remunerazione adeguata con la distinzione dell’olio secondo la doppia valenza cultivar e origine, moltipllcherà il valore del prodotto. Vedremo nascere aziende agricole a filiera produttiva completa (raccolta, frangitura della o delle cultivar e imbottigliamento) che soddisferanno un nuovo sicuro mercato di reale qualità. Last... creeranno occupazione del tutto nuova al Centro, al Sud e nelle Isole. Il calcolo è davvero emozionante: milioni di posti di lavoro non politici, capaci di dare a quelle regioni, sino ad oggi così disagiate, un immediato, forte e reale benessere, superiore - essì, amici miei, superiore - a quello “flessibile” delle industrie delle regioni del Nord.

Potatura e forme di allevamento
L’azienda agricola dovrà dar inizio a un rigoroso lavoro di potatura degli olivi indirizzato a un ottimale raggiungimento della qualità del frutto, della forma di allevamento e dei sesti di impianto.

Snocciolatura
Si impone anche una sperimentazione rigorosa e uno studio delle proprietà dell’olio di oliva da frangitura di olive snocciolate. Le esperienze effettuate danno risultati mirabolanti. Nel caso gli oli ricavati da questo procedimento si confermassero migliori, il cambiamento produttivo dovrà essere immediato.

Conclusioni
La mia sfida per grandi oli elettivamente affini ai vini grandi della nostra patria darà alla nostra economia vantaggi immensi, molto superiori a quelli di ogni altra fonte, soprattutto a favore e non contro l’Uomo.