Dossier

Ottobre 2001

A proposito del Manifesto

Edizioni Veronelli n° 61

Sono arrivati numerosi i commenti, le critiche, i contributi al mio “Manifesto in progress. Per una nuova cultura dell’olio”, pubblicato su EV59. Propongo qualche stralcio di alcune lettere, che ben riassumono i temi toccati da tutti gli olivicoltori e i lettori che mi hanno scritto, (L. V.)

da Domenico Ruffino
Varigotti, Savona, giugno 2001
{...} Mi ha dato così gioia ritrovare scritto dò che io stesso sostengo, che l’ho mostrato ad alcuni miei amici, coltivatori anch’essi. {...} uno di essi, leggendo la “Filiera produttiva dell’olio”, da me decantata, si è stupito dal fatto che la “coltivazione degli olivi” non fosse inclusa nei criteri del manifesto {...} è ovvio che lo dai per scontato, ma ti suggerirei di aggiungere esplicitamente anche questo criterio. {...}

da Giuseppe De Falco
Buccino, Salemo, luglio 2001
{...} Vi è una forte interazione delle varietà con l’ambiente di coltivazione. Non pensi che si potrebbero raggiungere dei risultati importanti in termini di caratteristiche degli oli anche in ambienti diversi da quelli di origine? Ho soltanto qualche dubbio sulla effettiva praticabilità per il produttore della filiera completa, limitatamente al frantoio, sia per i costi sia per le enormi difficoltà burocratiche. Non pensi che con un attenta scelta del frantoio, in relazione alla qualità degli impianti e del lavoro svolto, ed un severo controllo della molitura da parte dei produttori, si potrebbe comunque riuscire ad ottenere un prodotto di elevata qualità?

da Francesco Pardi
Ghezzano, Pisa, luglio 2001
{...} L’industria olearia deve essere un’altra cosa, deve risultare chiaro che propone un altro prodotto, per un mercato diverso. Purtroppo l’attuale classificazione degli oli, basata sul solo parametro dell’acidità, è a nostro avviso la prima causa della grande massificazione e della conseguente confusione di prodotti, che finiscono poi per essere valutati solo in base al prezzo di vendita! L’acidità dovrà essere “uno dei parametri”, ben visibile, insieme ad altri dati del “Nuovo paradigma”. Continuare a classificare l’olio in base al solo grado di acidità sarebbe come classificare il vino in base alla sola gradazione alcolica e nient’altro! E’ bene anche ricordare che il grado di acidità si abbassa con una semplicissima reazione chimica di cui non rimane traccia se non nella mortificazione ed appiattimento ulteriore del gusto, comunque recuperabile con sapienti successivi tagli (e quindi ancora maggiori miscele di oli)! Sono d’accordo con tè: “L’olio come il vino e l’olivo come la vite”. Il fantastico percorso che ha fatto il vino negli ultimi 20/30 anni, passando da bevanda” a “cultura del bere”, deve essere sempre evidente. “L’olio come il vino” inteso come fruizione di gusto, quindi come cultura del mangiar e dello star bene. Ma l’olio “non è il vino”. Segue un percorso gastronomico diverso. Il vino si apprezza da solo e con la gastronomia. L’olio è sempre un complemento, quindi il “rifinitore eccellente”, consumato in piccole dosi {...}
Il primo traguardo a cui noi produttori dobbiamo protendere per valorizzare il prodotto, è la ricerca di gusti immediati, definiti, di sapori decisi riconducibili anche ad emozioni {...} Bisogna quindi lavorare molto sulle cultivar, moltissimo sulle tecniche estrattive e sui tempi di raccolta per avere, non come oggi avviene “delle miscele di gusti” (vedasi gli oli industriali!) indefinite, ma i sapori e le sensazioni tipiche “del Leccino, del Gremignolo, del Fruttato, della Coratina, ecc... “ che caratterizzano le singole cultivar, le zone, i terreni {...}

da Marcelle Scoccia
Imperia, agosto 2001
Ho letto il tuo “paradigma dell’olio” e come ti avevo promesso ti faccio delle piccole annotazioni; {...} sono solo delle piccole osservazioni fatte da chi vive immerso nell’olio di oliva da più di 15 anni!
Il nuovo paradigma
Punto 1. E’ chiaro che più informazioni vengono indicate in etichetta al consumatore e meglio è, in ogni caso bisogna tenere conto anche della tracciabilità durante tutta la filiera, poiché risulta difficile provare che molte delle informazioni segnalate corrispondano a verità. Diciamo che andrebbe rivista la parte gestionale della filiera per poter garantire quanto da te esposto.
Punto 2. Indicare al consumatore i valori analitici, soprattutto quelliqualitativi, è una buona considerazione, a quelle da te citate (acidità, numeroperossidi, polifenoli) va aggiunto l’esame spettrofotometrico, in quanto il quadro analitico qualitativo è l’insieme di queste analisi, più il panel test.
Punto 4. Il calcolo fatto per quantificare il costo di un chilo di extra vergine è corretto. Gli oli che vediamo nei supermercati a prezzi inferiori, molte volte sono blend di oli con origini diverse, dove i costi sono ridotti e la manodopera ha costi molto bassi, esempio Andalusia, Tunisia, Turchia e in parte la Grecia. È chiaro che prezzi sensibilmente bassi devono insospettire il consumatore, le frodi ci sono eccome!! Questi oli non provengono da olive di scadente qualità, in quanto sarebbero caratterizzati da valori analitici elevati e da profilo organolettico scadente (Oli Lampanti). Sono invece vere frodi, cioè oli extra vergini con aggiunta di altri oli vegetali! Oggi i metodi analitici ci permettono di individuare presenza di altri oli estranei ma, per quanto riguarda l’aggiunta di olio di nocciola e olio deodorato, oggi non abbiamo ancora metodi certi, in quanto il primo ha una composizione addica molto simile all’olio di oliva e per il deodorato siamo ancora in alto mare. Oli mono cultivar. Non conosco bene la situazione vinicola (e con un maestro come te... potrei fare solo brutte figure!), in ogni caso sono d’accordo che la produzione da monocultivar valorizzerebbe maggiormente un olio. Ma una considerazione importante vafatta: vi sono alcune aree in Italia dove sono presenti numerose cultivar, cioè nello stesso olivete possiamo trovare differenti cultivar; diversificare le produzioni creerebbe numerosi problemi, dalla raccolta alla trasformazione; questo problema non esisterebbe solo in alcune aree dove è presente solo una cultivar (esempio il ponente figure dove troviamo quasi esclusivamente la taggiasca). Grandi varietà di cultivar. Le cultivar in Itala sono circa 600-700, tra queste bisogna distinguerne 3 gruppi: cultivar da olio, olive destinate esclusivamente alla produzione di olio; cultivar da mensa, destinate esclusivamente alla produzione di olive da tavola, in salamoia, al forno, sott’olio, etc; cultivar a duplice attitudine, utilizzate sia per la produzione di olio, sia per la preparazione delle olive da tavola. L’Italia sicuramente ha il patrimonio olivicolo più vasto, ma da sottolineare che in Spagna (primo paese produttore al mondo) non sono presenti solo 4-5 cultivar, ne troviamo molte di più, infatti in questa nazione è stata creata una banca genetica con 250 CULTIVAR identificate.

da Antonella Picchiotti
Roma, luglio 2001
Etichetta (punti 1 e 2)
{...} Dalle tue osservazioni ho ricavato molti spunti, che utilizzerò nella prossima produzione, specie per quanto concerne le informazioni relative ai mappali catastali in cui sono coltivati gli olivi, la data di raccolta e la molitura, il numero degli olivi per ettaro e la loro fascia d’età, la quantità del prodotto. Anche l’attestazione dei risultati dell’analisi chimico-fisica (ovviamente effettuata da un laboratorio accreditato) è più che opportuna, tenendo presente, però, che il “prodotto olio” modifica le proprietà flsico-chimiche ed organolettiche nel tempo; bisognerà rendere esplicito al consumatore siale diverse questa partìcolarità, sia la data cui fanno riferimento le analisi. D’altra parte è da tener presente che, com’é oggi, la legge della BOP richiede esplicitamente l’approvazione dell’etichetta e dei suoi contenuti dagli appositi organismi di controllo e, attualmente, ciò che può o non può figurare sull’etichetta di un olio DOP, è oggetto di scrupolosa normativa, cui è necessario attenersi, pena la non approvazione.
Brucatura a mano. Verità sacrosanta, ancora più amara se, come nel caso della nostra produzione, per poter ottenere la migliore qualità si è studiato attentamente il momento della raccolta e la resa è stata dell’11,2%, molto al di sotto, cioè, della media nazionale che tu indichi. Varietà di cultivar e valorizzazione del nostro patrimonio nazionale. L’idea è molto felice, ma, purtroppo, contrasta totalmente con i disciplinari della DOP (conosco molto bene quello della DOP Umbria), che determinano varietà e le relative percentuali richieste per l’ottenimento del riconoscimento DOP. Quello che tu suggerisci è già applicato nella mia Azienda, ma in una piccolissima percentuale, esclusivamente riservata a veri amici intenditori e al nostro consumo intemo. Applicare il concetto di olio monovarietale a tutta la produzione avrebbe impedito il conseguimento della DOP. Certamente, i disciplinari DOP sono da rivedere o, quanto meno, da aggiornare{...}
Filiera produttiva completa. È senza dubbio l’obiettivo di molti produttori, come me, ad esempio: ma quanta difficoltà sia di natura economica sia di natura burocratica. Potatura. Un vero “puntum dolens”! Vanno, purtroppo, scomparendo la figura del potatore esperto e non ci sono iniziative per favorire i giovani ad avvicinarsi a tale lavoro, che porterebbe - invece - a molte soddisfazioni anche di natura economica, la mia Azienda deve rivolgersi con mesi di anticipo e “prenotare” quei pochi individui disponibili (in genere anziani) che si ritrovano a dover soddisfare le numerosissime richieste... E quando costoro non saranno più disponibili? {...}

da Gianluca Polidori
Poreda di Spoleto, Perugia, 1 giugno 2001
{...} Le uniche osservazioni che mi permetto di fare, così come da Lei gentilmente richiesto, riguardano il confronto tra la coltura della vite e quella dell’olivo e le tecniche
agronomiche da intraprendere al fine di attuarne un percorso parallelo.
{...} In primo luogo, l’olivo, a differenza della vite, è una pianta potenzialmente eterna e perciò attualmente i nuovi impianti produttivi sono una minima parte rispetto ai vecchi, per la maggior parte progettati con finalità di coltura intensiva, utilizzando cultivar specifici che entrano in produzione precocemente, ma altrettanto precocemente cessano la loro vita vegetativa. In secondo luogo volendo costituire impianti con specie tipiche occorrono almeno sei anni prima che le giovani piante di olivo entrino in discreta produzione.
{...} Con ciò non voglio dire che sono contrario a ricercare e sperimentare nuove strade per la qualità, ma soltanto che porrei al primo posto nella politica della “novelle vague” dell’olio d’oliva, la giusta valorizzazione del prodotto proveniente dalle terre delle nostre regioni, frutto di secoli di sperimentazioni di varietà appropriate a quei terreni con quei microclimi.
{...} la vera scoperta dovrebbe essere data al gusto per i differenti oli d’oliva tipici dei territori di appartenenza (combinazione delle cultivar autoctone presenti sul territorio) estratti con la garanzia organolettica dei sistemi di lavorazione e delle tecniche odierne.
L’idea della frangitura per cultivar la trovo interessante ma con delle difficoltà per chi, come me, ha soprattutto vecchi impianti dove se pur con una cultivar prevalente ne sono presenti altre in disposizione promiscua: sarebbe infatti troppo dispendioso ripassare più volte in uno stesso appezzamento per la raccolta. Penso che il mio compito di olivicoltore sia quello di produrre nel miglior modo possibile, in maniera dinamica cioè attento alle realtà che mi circondano, cercando anche di realizzare la filiera produttiva completa che Lei auspica, ma soprattutto di comunicare quello che faccio all’estemo {...}


da Michele di Gaetano
Castagneto Carducci, Livorno, giugno 2001
[...} Per i punti 1, 2 e 3 concordo pienamente e spero che si possa arrivare presto ad una etichetta completa dove venga descritta tutta la filiera e finalmente ad un serio censimento oleicolo regionale.
Punto 4: quello che c’è scritto è molto vero, infatti con il sistema attuale di contributi in base all’olio prodotto, esiste una miriade di persone che avendo qualche pianta in giardino o poco più nell’orto e che non hanno niente a che fare con l’agricoltura, percepiscono comunque un cospicuo contributo, intasando da una parte la macchina burocratica in quanto deve smaltire moltissime pratiche di lieve entità, dall’altra parte i frantoi sono costretti a emettere un sacco di documenti fungendo praticamente da organismo di controllo per le autorità, trovandosi poi nei guai in caso di quasi formali. Sono del parere che il contributo vada solamente dato ad una azienda che sia veramente produttiva, e come dice il Manifesto in progress, che le piante siano realmente coltivate e produttive anch’esse {...}
OLI MONOCULTIVAR ED ASSEMBLATI.
La frangitura cultivar per cultivar è un’ottima cosa, il grosso problema sta invece nei travasi, in quanto come sappiamo il travaso va effettuato con pompe che tendono a impoverire l’olio con lo sbattimento, bisogna quindi fare operazioni mirate nell’assemblaggio ed una volta sola in modo da non sbattere eccessivamente l’olio.
ASSAGGIO DEGLI OLI. Per stabilire all’assaggio se un olio è buono o meno, bisognerebbe riformare il sistema attuale, in quanto nell’assaggio si tende ad avere in mente un gusto, e,se tale olio non risponde al gusto determinato viene ritenuto magari difettoso. È giusto dire che ogni cultivar ha le sue particolarità, che ogni olio prende determinate
caratteristiche dal terreno, dalla zona e dalla sua esposizione, che portano profumi e caratteristiche diverse {...}
AZIENDA AGRICOLA E FILIERA
PRODUTTIVA COMPLETA
Personalmente considero azienda olivicola, un’azienda con almeno 2000 piante di olivo, penso che chi ne ha meno si debba consorziare in più aziende per raggiungere un determinato numero di piante, così si potranno dotare di frantoio aziendale, anche in modo diretto, visto che è già quasi riuscito l’intento di far chiudere gran parte dei piccoli frantoi a livello nazionale, a favore delle grandi cooperative. Per fare in modo che vi sia una rinascita dei piccoli frantoi (che siano artigiani a tutti gli effetti) bisogna snellire tutta la macchina burocratica vessatoria e avvilente. Ecco perché il contributo a pianta è molto importante, in quanto snellirebbe il grande lavoro di gestione da me descritto in precedenza {...}


da Giovanni Rolli
Veglie, Lecce, giugno 2001
{...} Viviamo una ennesima contraddizione: mentre noi abbiamo estirpato selvaggiamente i nostri vigneti (compiici agevolazioni comunitarie) e abbandonate le campagne perché non assicuravano più un reddito decente, grandi realtà produttive-commerciali del centro-nord stanno trovando economicamente conveniente investire nelle nostre aziende, sfruttando anche l’interesse che la comunità internazionale sta mostrando per la cultura, le tradizioni e le coste salentine. Sicuramente potrà essere questo un fatto positivo se riusciremo a creare per i nostri prodotti dei marchi di qualità a tutela della tipicità della zona di produzione, e quindi poi sfruttare il traino e le potenzialità della grande azienda per far conoscere e commercializzare il frutto del nostro lavoro; se invece continueremo ad essere i semplici fornitori del prodotto avremo un ruolo da vassalli e come tali continueremo ad essere sfruttati {...}

da Ezio Ricolfi a Franco Sandri e Luigi Veronelli
Sanremo, Imperia, giugno 2001

Se ho capito le mie ultime letture sull’argomento, in primis il suo articolo sul numero di giugno-luglio di EV, la frangitura con mola rotante en plein air sviluppa perossidi, aumenta il tenore d’acidi grassi che si staccano dal glicerolo, riduce i biofenoli; mentre la successiva estrazione a pressione con fiscoli anche se di nailon può danneggiare l’olio, non solo per la prolungata esposizione all’aria (l’ulteriore reazione d’ossidazione da origine a una serie di prodotti di neoformazione che modificano le caratteristiche organolettiche del substrato), ma facendogli anche assorbire qualsiasi odore. Addio olio di prima spremitura, primu ruju dei liguri. Meglio la frangitura nell’ambito ristretto e inossidabile d’apparecchi a dischi dentati, dai quali l’olio comincia a uscire per percolamento. Poi, la sgramolatura (un procedimento di separazione dell’olio dall’acqua di vegetazione, contenuta nel frutto; e se è così, come avviene?) e, infine, la pasta residua è passata a decanter per completare l’estrazione. Altro mio dubbio: se il decanter è una centrifuga e, come tale non può non riscaldare il prodotto, come fa a non alterarlo, poiché l’interazione tra l’ossigeno atmosferico e i doppi legami delle catene drocarburiche degli acidi grassi insaturi, qualunque ne sia l’innesco (autossidativo, fotossidativo o termossidativo) procede mattraverso la formazione di radicali liberi in un tipico processo a catena. Nell’olio, comunque ottenuto, sono varie impurità che ne sono separate mediante il riposo in appositi recipienti la filtrazione. Giusto?
Sto scrivendo un divulgativo sull’alimentazione del bambino nel primo anno di vita. Alla produzione dell’olio d’oliva dedico poche righe, ma, per adeguarmi alla sua indiscutibile supremazia, vorrei fossero, il più possibile, precise. Chissà se ha il tempo d’inviarmi qualche lume.
Cordiali saluti.


da Franco Sandri / Olioro a Ezio Ricolfi
Brescia, agosto 2001
Egregio dottor Ricolfi,
nell’articolo si è parlato dei vari metodi di trasformazione dell’oliva in olio e si sono elencati alcuni vantaggi o svantaggi oggi conosciuti. Si calcola che la qualità dell’olio dipenda per il 50% dalla cultivar e dalla qualità dell’oliva, per un 40% dai sistemi di raccolta, di trasporto, di frangitura e di estrazione e per un 10%, dai modi e dai tempi di conservazione del prodotto finito. Non è che le macine (o molazze) siano superate o addirittura siano ritenute dannose per la produzione dell’olio di oliva. Oggi però i rusultati ottenuti con la lavorazione della pasta di oliva che mantiene al minimo il contatto con l’aria o addirittura la esclude, dimostrano che le macine, che lavorano la pasta con un prolungato contatto con l’aria, danno un aumento di perossidi rispetto ai nuovi sistemi. La successiva estrazione a pressione comporta purtroppo un altro problema e cioè, molte volte i diaframmi assorbono cattivi odori che poi si trasmettono all’olio estratto. Certamente se i diaframmi fossero in acciaio inox o in materiale non assorbente, questo non accadrebbe. Rimane comunque il fatto che l’operazione, della durata di circa 30/40 minuti, avviene “en plein air”, con le conseguenze del caso. Una volta esisteva l’olio di “prima spremitura”, perché il procedimento avveniva in due tempi. La pasta, proveniente dalla frangitura a macine e disposta sui fiscoli, subiva una prima spremitura a pressione moderata (olio di prima spremitura), quindi si rimescolava la stessa pasta e si provvedeva per una seconda spremitura a pressione superiore. Lascio a te immaginare la qualità di questo secondo olio! Oggi la spremitura avviene in una sola fase e subito a forte pressione (sparisce così la prima spremitura). Il procedimento per percolamento o sinolia, si basa su un sistema molto semplice, durante la fase di ramolazione, delle apposite lamelle o aghi, entrano nella pasta e attraverso un percorso di uscita, mediante dei rasatori, lasciano sgocciolare l’olio prelevato direttamente dalla pasta senza nessuna pressione o centrifugazione. Certamente questo metodo mantiene integre le qualità dell’olio, ma non ne consente un’estrazione totale (solo circa il 60%). La grammolatura oggi, con le moderne tecniche, avviene entro vasche riparate dall’aria con attorno una camicia dove circola acqua calda a 30-32 gradi. Questo fa sì che la pasta, proveniente dal frangitore, arrivi a una temperatura di circa 22-24 gradi. Il suo continuo rimescolamento (per circa 20 minuti) favorisce il riunirsi delle goccioline di olio contenute nei vacuoli dell’oliva, che poi, per diversa tensione, salgono in superficie unitamente alla sua acqua di vegetazione. Tutta la pasta gramolata viene convogliata per l’estrazione dell’olio nel decanter (centrifuga), l’operazione, che sfrutta il diverso peso specifico degli elementi, può essere fatta in 2 o 3 fasi. Ed è qui che è molto importante il controllo della temperatura con la quale viene estratto l’olio. Se questa rimane, come dovrebbe, sotto i 28 gradi, il prodotto non subisce nessuna alterazione. Con l’estrazione a due fasi inoltre, non richiedendo aggiunta di acqua, si ottengono un numero maggiore di polifenoli che invece l’acqua porterebbe via (come nel caso del 3 fasi dove si richiede l’aggiunta di acqua). Per quanto riguarda la pulizia dell’olio, non è obbligatoria la filtrazione meccanica, anche se più conveniente e sicura, ma si può usare la cosiddetta pratica della decantazione naturale, che richiede però più travasi del prodotto e quindi una maggior esposizione all’aria. Se mi permette un suggerimento, essendo Lei uno specialista in dietetica infantile, dedichi qualche riga in più all’olio prodotto da olive snocciolate.Il dottor Roberto Crea, biochimico italo-americano che ha collaborato alla scoperta dell’insulina sintetica, ha dedicato parte del suo tempo all’olio di oliva. Oggi in Toscana produce un olio da olive snocciolate, ideale per lo sviluppo dei neonati. Afferma che fa frantumazione del nocciolo apporta due componenti nocive e deleterie per la qualità dell’olio e inoltre ne aumenta l’acidità e la sensazione di amaro. L’olio denocciolato risulterebbe di grande qualità, ideale per la dieta dei neonati. Per questo il suo olio lo ha voluto chiamare: integrale. Sperando di esserLe stato un poco d’aiuto Le porgo i miei più cordiali saluti.