Edizioni Veronelli

February 2003

Olio. Facciamo chiarezza.

Edizioni Veronelli n° 69, Marc Tibaldi

In breve, ripetiamo: un milione di olivicoltori italiani vivono in povertà anche perchè pensano non convenga fare l’olio extravergine buono: l’unico reddito che ricavano è misurato in base ai contributi Ue che sono elargiti col solo criterio quantitativo. Meglio dunque raccogliere le olive in una volta sola, per terra, quando ormai non vanno più bene per l’extravergine, e venderle alle raffinerie magari gonfiando un po’ le ricevute. Queste raffinerie rettificano l’olio lampante - non commestibile - ottenuto dalle olive “di terra” e lo vendono alle grandi industrie olearie (tutti i nomi famosi che trovate al supermercato), le quali lo mischiano con una percentuale di olio d’oliva extravergine a loro discrezione (anche 1%, non c’è legge che stabilisce una percentuale minima): ecco come si fa quello che poi acquistiamo come “olio d’oliva”.
Invece, quello venduto dai grandi marchi italiani come “olio extravergine” è ottenuto da una mescola di oli stranieri (in gran parte) e italiani, ma questo fatto non viene dichiarato in etichetta perchè la legge non lo prevede. Siamo convinti di acquistare olio italiano, ligure, toscano, ma non è così. L’olio extravergine italiano per l’ammontare dei costi di produzione, non dovrebbe costare meno di 8 _ al litro (prima dell’imbottigliamento), perchè secondo voi se ne trova anche a 2,50? Chi non si è perso la trasmissione Report, andata in onda su Rai Tre, queste cose le capisce bene e sa anche che ci sono, dimostrati ma non perseguibili per la nuova legge sulle rogatorie internazionali, dei casi di truffa clamorosi, come navi cisterne che trasportano dall’estero olio di nocciola, il quale durante il viaggio per l’Italia si tramuta come per magia in olio d’oliva.
Per controllare l’olio, una volta imbottigliato, e smascherare questo tipo di truffe non ci sono analisi di laboratorio adatte, dunque consumiamo olio di nocciola rettificato e tagliato con olio d’oliva prendendolo per olio d’oliva al 100%.

Abbiamo chiesto a Roberto Scopo di spiegarci al meglio il progetto “L’olio secondo Veronelli”, progetto che vuole scuotere e cambiare la situazione appena descritta.
Da due anni - con Veronelli o con i suoi collaboratori - Roberto Scopo sta girando l’Italia in lungo e in largo per pubblicizzare il progetto, tanto che Veronelli lo ha definito “l’evangelista dell’olio”. Succede che a molti questo progetto dia fastidio, molto fastidio. Sono quelli che vogliono difendere lo status quo. Costoro, per non attaccare Veronelli, che grazie alla sua credibilità e alla professione di giornalista può meglio difendersi, attaccano in tutte le maniere il lavoro e la persona di Roberto Scopo. Così diamo a lui l’opportunità di rispondere alle nostre domande. Lo stesso Veronelli gli riconosce di essere stato fondamentale per definire i punti chiave del Manifesto in progress e di esserlo per l’opera di convincimento degli olivicoltori, i ristoratori, gli operatori di settore, i consumatori. Le sue intuizioni sono nate grazie all’intreccio delle esperienze: prima, efficace e riconosciuto rappresentante enoico, poi, co-fondatore, assieme ad Alex Nember, dell’azienda più innovativa - nel campo dell’olio d’oliva - degli anni ’90, la Fattoria Paradiso di Puegnago.

Cosa contraddistingue il progetto “L’olio secondo Veronelli”? Quali i suoi punti di forza?
Semplice: produrre oli provenienti da olive denocciolate
(la denocciolatura è prevista anche per arrivare facilmente al sapore differenziato: cultivar per cultivar e per zona di produzione), monovarietali e con spremitura entro quattro ore dalla raccolta, etc. Tutte le fasi sono regolate, dal campo alla bottiglia. I contadini dovranno segnalare ogni loro intervento all’istituto di ricerca Metapontum Agrobios, il quale svolge le analisi (tra cui quella del DNA) e la ricerca necessarie affinchè si stabiliscano la tracciabilità totale e nuovi criteri qualitativi a seconda delle diverse varietà e zone.
E’ un progetto per qualificare, sanare, rinvigorire e rendere remunerativo per i contadini l’olio italiano. Vivificare un comparto che tra frodi, leggi insufficienti, disinformazione o mancanza di informazione, vive in uno stato disastroso.

A cosa serve tutto ciò?
A fare chiarezza. A fare in modo che il consumatore finale riconosca le diversità senza dover essere un assaggiatore da panel test. Per fare come nel vino: individuare finalmente i sapori cultivar per cultivar; individuare dai dati riportati in etichetta quali sono le caratteristiche organolettiche, nutrizionali, agronomiche.
In questo modo, tra l’altro, anche la tracciabilità di filiera sarà completa e sicura, assolutamente trasparente: ci sarà un libro degli olii che racconterà vita morte e miracoli di ogni bottiglia prodotta. E’ un progetto complesso e completo, in progress. Voglio ripetere le parole che Carlìn Petrini ha detto in favore del nostro progetto: “la qualità futura dell’agroalimentare italiano passa per questo tipo di iniziative: microeconomia, scienza non asservita e cultura gastronomica riunite in un equilibrio virtuoso”.

Quali sono gli aspetti che sono stati messi a punto e un bilancio del primo anno?
C’è un interesse enorme da parte di appassionati, gourmet e chef per l’informazione corretta. Tutti cercavano in etichetta la tracciabilità totale, con questo progetto l’hanno trovata. Come hanno trovato anche sapori nuovi e sbalorditivi.
In molti ci hanno boiccotato e messo il bastone fra le ruote. Diamo fastidio. Per sconvolgere il settore oleario bloccato da impostazioni burocratico-legislative incrostate e da interessi corporativi, sono stati privilegiati i vignaioli - le aziende vitivinicole (buona parte delle aziende del progetto lo sono) - che hanno anche olivi. Questo perché il processo di qualità che si deve fare con l’olio è stato realizzato nel mondo del vino a partire dagli anni Sessanta. I vignaioli lo sanno e sono meglio disposti a pensarlo anche per l’olio.
Abbiamo verificato che le enoteche non sono il luogo più adatto a vendere l’olio d’oliva e che - per il momento - la vendita deve essere fatta e sostenuta in primis dalle aziende. Le aziende devono credere nel progetto, divulgarlo e divulgare il prodotto.

Quali sono i compiti della Metapontum Agrobios e della Olioro?
Bisogna sapere che il lavoro scientifico portato avanti dalla Metapontum Agrobios ha costi molto alti. Le analisi, il quaderno di campagna, le ricerche, gli archivi… garantiscono attraverso la mappatura del DNA, la tracciabilità dell’olio contenuto in una determinata bottiglia, fino alla singola pianta del singolo oliveto

Gli alti costi delle analisi - che danno garanzia - sarebbero insostenibili se le stesse analisi venissero fatte autonomamente dalle aziende.
Olioro si occupa soprattutto del lavoro di comunicazione, di promozione del progetto, di valorizzazione del prodotto. Lo confermano le centinaia di migliaia di chilometri fatti nell’ultimo anno, le migliaia di persone contattate (aziende, chef, operatori, giornalisti…), le decine e decine di conferenze, dibattiti, convegni a cui abbiamo partecipato.

Un’obiezione che viene fatta al progetto “L’olio secondo Veronelli” è un’apparente contraddizione con la filosofia veronelliana. Veronelli da sempre è contro i controlli e le certificazioni, ma a favore dell’assunzione di responsabilità da parte del produttore. Come spieghi allora l’utilizzo di un rigoroso disciplinare?
Non c’è contraddizione. Solo le aziende oneste possono permettersi di essere trasparenti dal campo fino alla bottiglia. Le aziende si assumono la responsabilità di rendere leggibile il proprio operare. Nel settore dell’olio è la sola via d’uscita a possibili imbrogli e sofisticazioni. Il nostro non è tanto un sistema di certificazione ma un sistema di estrema trasparenza. Il DNA non è un’opinione!

Quali sono gli chef entusiasti dei nuovi oli denocciolati monocultivar?
Molti. Per esempio, Annie Feolde del Pinchiorri di Firenze; Heinz Beck della Pergola di Roma, Luciano Lissana del La Brilla di Camaiore; Arold Pucher del Hotel Wulfenia in Carinzia, che grazie alle proposte con questi oli è stato segnalato come miglior chef emergente dalla Gault& Millau austriaca (per chi volesse andarci: A23, uscita Pontebba, strada di Passo Pramollo, lo trovate appena varcato il confine; tel.(con prefisso italiano) 048/90506. ndr). Hanno capito che questi oli vanno usati come essenze, elemento fondante della ricetta e non come condimento.

Luoghi comuni. Qualche giornalista disinformato sostiene che gli oli denocciolati hanno una durata minore nel tempo. Cosa rispondi?
E’ una sciocchezza, anche perché non c’è stato ancora il tempo per verificarlo. Il progetto è partito solo da un anno. Ci sono invece tutte le premesse per una tenuta temporale molto lunga, come si può verificare dai dati scientifici sull’evoluzione degli oli della campagna 2001, che organoletticamente sono ancora perfetti (se conservati sotto azoto); sono addirittura migliori per l’equilibrio raggiunto dai profumi.

Carlo Cambi sostiene tu sia l’uomo più odiato del settore. Cosa vuoi dire a coloro che ti odiano?
Purtroppo molti - in realtà - vogliono solo difendere le spartizioni attuali… Io posso sembrare arrogante e presuntuoso, ma una persona seria non si ferma all’apparenza. Chiedo a tutti di valutare razionalmente la nostra proposta. A tutti gli olivicoltori, in più, chiederei di iniziare almeno a chiamare il proprio olio con il nome della cultivar, a mettere in etichetta l’annata di raccolta, il mappale dell’oliveto e il comune di provenienza. Sarebbe un primo passo per fare la differenza tra oli industriali e oli con olive della loro terra.