Dossier

February 2001

Comunicato del coordinamento oliviandolo rivoluzionario

Edizioni Veronelli n° 57

Il documento che proponiamo ai lettori è stato distribuito durante il Salone dell’Olio al Vinitaly. Lo pubblichiamo perché ci sembra provocatorio, interessante e utile al dibattito, (ndr)

I dati sulla produzione di olio di oliva riportati da riviste (vedi tabellla), da guide e dall’Istat concordano solo su un punto: la produzione 1999/2000 è cresciuta, mentre a causa delle avverse condizioni climatiche la resa in olio si è abbassata di 5-6 punti.
Il dato che più disorienta è però quello proposto dalla Guida “Extravergine” dell’UMAO (Unione Mediterranea Assaggiatori Olio), che mette in risalto come in solo 4 Regioni del Sud si siano riscontrati livelli di produzione con incrementi del 43,45,62 e 70%: tradotti in quintali di olio corrispondono all’incremento di produzione dell’Italia tutta (1.618.295 quintali di olio in più). È opinione comune che questi incrementi siano dovuti alla compilazione doppia e anche tripla dei modelli F (dichiarazione della quantità di olive prodotte dagli olivicoltori), questo permette ai produttori disonesti di accedere agli aiuti comunitari, a fondo perduto, che per la raccolta 1998/1999 sono stati di 250.000 lire per ogni 100 chilogrammi di olio. Secondo noi queste sovradichiarazioni coprono movimenti di oli non di oliva e importazioni illegali di olio marcio, proveniente da altri paesi del Mediterraneo, da cedere poi a prezzi stracciati a grandi industrie.
È chiaro comunque che anche senza le frodi, per ottenere più olio gli olivicoltori sono costretti a raccogliere le olive troppo mature e a frangerle dopo tré giorni, ricorrendo ad artifìci, quali aumentare la temperatura della gramolazione, ricavandone così altissime rese e oli ad alta acidità. Gli olivicoltori sono poi obbligati a vendere a basso costo alle industrie, che provvederanno a rettificarlo con solventi chimici. Dagli ultimi dati Istat, l’Italia importerebbe circa 5 milioni di quintali di olio, ne esporterebbe 2 milioni e rimarrebbero in giacenza 2,4 milioni (olio d’oliva non di qualità, prodotto in quelle regioni di cui sopra).
A questo punto ci si chiede: perché aumentare la produzione o comperare olio dall’estero se poi abbiamo delle rimanenze? Per una maggior remunerazione del prodotto, non sarebbe più saggio produrre olio in quantità minore ma di grande qualità? Per fare un olio di grande qualità basterebbe raccogliere nei giorni di inizio maturazione, frangere immediatamente e con temperatura adeguata. Anche per quel che riguarda la fetta di mercato mondiale che l’Italia ricopre i dati sono molto discordanti. Per l’Istat l’Italia ricoprirebbe il 51% del mercato mondiale; per la rivista Gambero Rosso il 30-40%;mentre nella lettera che l’onorevole Massimo D’Alema ha inviato a Luigi Veronelli - pubblicata su EV 58 - si parla del 70% della commercializzazione mondiale, con solo il 25% della produzione italiana dedicata all’autoconsumo (l’Istat per il 1997 dichiara che l’autoconsumo è quasi pari al prodotto intemo).
Altro punto buio per il nostro olio d’oliva è il prezzo di vendita. Su molte bottiglie di “extravergine” vendute anche a meno 5.000 lire troviamo impressa la dicitura “olive raccolte con brucatura a mano”.
Ora, se consideriamo che:
1. un esperto bracciante agricolo riesce a raccogliere in otto ore di lavoro circa 100 chilogrammi di olive;
2. la resa media nazionale è del 15% di olio; otterremo circa 15 litri di olio;
3. il bracciante agricolo è remunerato con circa 12.000 lire orarie, a cui vanno aggiunte 6.000 lire di trattenute; quindi una giornata di lavoro di un bracciante viene a costare 144.000 lire; i nostri 15 litri di olio costeranno - di sola raccolta -144.000 lire, cioè 9.334 lire al litro.
Quale sarà allora il mistero degli oli venduti a prezzo più basso?
lavoratori in nero sottopagati, olive raccolte con le ruspe o che altro ancora?
Non sarà, come ormai da anni si dice, olio proveniente da chissàdove e di scarsissima qualità che magicamente diventa ottimo e italiano?