Rassegna Stampa

Luglio 2003

Sulle colline dell’olio

da “Io Donna”

Amo Villa La Bianca e vedrai poi perchè. L’amo ancor di più da quando celebra nella sua cucina (l’insegna cambia in La Brilla) Luciano Lissana, uno chef di straordinaria validità, eccelso in particolare nella scelta degli oli extravergine di oliva con cui prepara e condisce i suoi piatti (varie sue ricette sono state inserite da Benedetta, mia figlia, nel volume edito - guarda un po’ - dalla Veronelli Editore di titolo assai chiaro L’Olio e la Vera Buona Cucina. 350 Ricette, 368 Produttori). Ti do i piatti che - seduto al ristorante prediligo: filetto di branzino in foglie di verza e pomodori al forno, insalata di farro garfagnino con coniglio disossato, passata di borlotti con cozze del tirreno e capperi, maccheroncini di Camaiore al ragù d’anatra muta, stoccafisso alla viareggiana, filetto in crosta con fegatini saltati al Marsala. Last But... il menù dell’olio. Insisto sull’olio, uno diverso dall’altro, con cui Luciano condisce e accompagna le sue preparazioni. Sono, tutti, oli “secondo Veronelli”, ciascuno ottenuto con una semplice, finalmente leale disciplina. Le olive devono essere colte a mano - ripeto: a mano - non appena si presenta l’invaiatura, quando cioè si avverte il primo cambiamento del loro colore, e non mature; vanno raccolte secondo la cultivar (così è detta la qualità dell’olivo) di un singolo uliveto; vanno poi denocciolate (questa è una pratica già imposta da Catone il Censore, vissuto 300 anni prima di Cristo, politico integerrimo - assai difficile, se non impossibile, oggi - e dopo il ritiro dagli affari pubblici, scrittore di un libro sull’agricoltura) e subito, subito, subito frante. Il che esclude ogni possibilità industriale. Luciano sceglie i suoi oli dopo un personale assaggio - in cui è maestro - diretto dagli olivicoltori.
Villa Bianca è il relais della mia intelligente inquietudine, sino a che non vi sono entrato è stata fuori dal mio pensiero. Voglio dire che non poteva essere da me pensato. Sia tu giunga a piedi, sia in macchina, entri appena e sei sedotto. Di Villa Bianca ho messo in memoria con incisioni rapide la cucina in cui mi è stata servita la ricotta pastorale, l’officina al primo piano del frantoio in cui lavoravano i ragazzi inglesi, designer della Enterprise IG Limited, e la camera. La camera merita parole, non mie, di Mario Soldati che l’abitò (era amico di Cesare Garboli, proprietario allora della “Fabbrica”): “Mi godo con lo sguardo dalla finestra questi pinnacoli nella luce smerigliante del sole; e il ruscello trasparente sulla sabbia fina e grigia; e la ruota del mulino,che non è un mulino, ma il “frantoio”, come dice sulla casa di là del prato una grande scritta che vedo anche di qua”.