Dossier

Febbraio 2001

Confronti disaccordi e sintonie

Edizioni Veronelli n° 57, Roberto Scopo

Scrivo-inizio di marzo (mi leggerai a Vinitaly avvenuto) - sul pezzo dedicato dagli amici del Gambero Rosso, febbraio 2001, agli oli d’oliva.
Mi piace ripetere il benvenuto tra pochi che si occupano in modo serio di tale problema così importante per l’economia dei nostri contadini, e mi attendo, proprio al prossimo Vinitaly, di leggere la preannunciata Guida “gamberottiana”.
Proprio e solo nell’intento di camminare assieme, ho chiesto a Roberto Scopo di esaminare col massimo possibile di approfondimento, nel bene e nel male, le schede del Gambero e poi anche quelle - curate dal “mio” Luigi Caricato - di Capitai (L.V.).


GAMBERO ROSSO
È sempre lodevole che la stampa parli dell’olio di oliva e lo è ancora di più se si tenta di difenderlo dalle insidie dei truffatori.
Ben vengano quindi anche le citazioni di merito per i produttori più bravi, che possono sollecitare a una sana competizione per il raggiungimento di un prodotto di grande qualità.
In molti casi però sarebbe meglio non esagerare con le lodi.Prendiamo in esame la rivista Gambero Rosso n°109 del febbraio 2001. Nello speciale “Ritratti ad olio” (curato da Raffaella Prandi e Stefano Polacchi, con il coordinamento tecnico di Marco Greggia), dopo un cappello introduttivo si esaminano sei olivicoltori, dichiarati piccolissimi, sparsi per l’Italia, giudicandoli molto positivamente. Nulla da eccepire per l’articolo di introduzione in cui si da un meritato plauso alla nascita delle DOP e anche all’insufficienza di quello che viene scritto nelle etichette sulle bottiglie. In particolare sul fatto che poco vengono identificati il tipo di cultivar e il comune di provenienza. Passiamo ad analizzare gli articoli riguardanti i sei produttori incensati.

VALENTINO LONARDI (Bardolino)
Si apprezza moltissimo lo sforzo da lui fatto, in collaborazione con l’Università di Piacenza, per selezionare nuove cultivar e le tante corse a Roma per parlare dei suoi oli, ma altro non si sa, e nemmeno è ben precisato se il frantoio è o non è di proprietà.
Nemmeno si conosce quanti olivi possiede, quanto olio produce e a quanto lo vende.
Dalla guida “L’Extravergine” dell’UMAO (Unione Mediterranea Assaggiatori Olio) apprendiamo che possiede solo due ettari olivati e che produce 80 quintali di olive da cui trae 1.000 litri di olio, venduti a 26.000 lire al litro. Penso che il lettore dovrebbe essere messo a conoscenza, oltre che di tutta la storia dell’azienda, di questi dati.

ELISABETTA E GABRIELLA
GABRIELLONI (Recanati)

Le signore sono frantoiane, possiedono sei ettari di terreno con cultivar di Leccino, Frantoio, Ascolana, Raggio, Rosciola e Moraiolo. Queste cultivar vengono spremute separatamente e poi assemblate per ricavarne un olio denominato “Laudato”. Frangono anche per conto di terzi (non si sa quanto), seguendo - dicono - regole ferree; frangono cioè le olive non oltre i due giorni dalla raccolta, che è già troppo (interessante sarebbe sapere come possono controllare la data di raccolta). Le loro olive vengono frante senza soluzione di continuità, e quindi tra una panila e l’altra dei clienti. Ci si chiede quindi se il frantoio viene pulito ogni volta; o se, invece, tutto non sia fatto a ciclo continuo. Producono anche un olio denominato “Solivo” scegliendo con cura “maniacale” le olive acquistate nelle Marche, in Umbria, in Abruzzo (un bei traffico per frangerle nei due giorni della raccolta previsti dalla severa signora).
Insuperabili, ritengo, per qualità, gli oli derivati dalla spremitura di olive mescolate con limoni oppure con aglio e rosmarino!!! Altro non si sa, ma da “Gli Oli di Veronelli” (guida insuperata per impostazione e informazioni corrette) apprendiamo che posseggono solo 2.000 piante e dalla guida UMAO che l’olio viene venduto a 40.000 lire al litro.

FRANCESCO GAUDENZI (Trevi)
Anche lui è un frantoiano che con grande passione sostituisce il frantoio di famiglia ormai obsoleto, con uno con sistema per sgocciolamento, il sinolea; precisando che è l’impianto più costoso in commercio. Il frantoio lavora 500 quintali di olive provenienti dalle 4.000 piante in proprietà e in affitto a cui se ne aggiungono altre 2.000 da cui vengono acquistate le olive con una resa di 80-90 quintali di olio (resa del 17%-18% ndr).
Inoltre, frange 500 quintali di olive acquistate, dove ammette, che non a tutti i produttori, è riuscito a far capire di non stoccare le olive per molto tempo (non si sa per quanto).
Una selezione di questi oli si fregia della DOP Colli Assisi- Spoleto. Olio ottenuto solo da cultivar Moraiolo e molite con sistema di estrazione sinolea. Vengono prodotti 3.500 litri da 200 quintali di olive con una resa dichiarata del 12/13% (forse un po’ di più), e l’olio DOP viene venduto a lire 20.000 al litro. Dati molto diversi da quelli riportati dalla guida UMAO, dove sono dichiarati 3 ettari in proprietà con 2.200 piante ottenendo 60 quintali di olive, ne acquista altre 700 quintali e ottiene 15.000 litri di olio.

FRANCO VENTURA (Scandriglia)
Altro frantoio (frantoio Alfalava a ciclo continuo) con 9.000 piante in proprietà su 43 ettari; frange per conto terzi 22.000 quintali di olive. Per la sua selezione produce 200 quintali di olio denominato “extravergine della Sabina”. Ventura precisa che se le olive si potessero raccogliere tutte nella prima quindicina di novembre si otterrebbe un olio da farmacia (purtroppo non è così).
La spremitura è a freddo e il suo è un olio certificato biologico, mentre tutta la produzione è certificata DOP sabina che però non viene messo in etichetta (la qual cosa è molto curiosa, chissà perché?). L’olio viene venduto sfuso a 8/9.000 lire al litro (fantastico per essere biologico e DOP). Interessante la sua denuncia sulle frodi: dichiara infatti che è a conoscenza di olio lampante, proveniente dal bacino del Mediterraneo a 1.300 lire al litro, che portato in Puglia viene adulterato con DDT, deacidifìcato, deodorato con trielina e acido muriatico e quindi rianimato con olio nostrano. Nel suo paese inoltre, c’è un mare di olio, con bassissima acidità, invenduto.
Quello che viene ceduto ai grossisti viene pagato 3.800 lire al chilo (ma quanto ci guadagneranno?). Precisa che il commerciante, diversamente dal consumatore abituale, preferisce un olio molto piccante perché gli serve per tagli successivi. La guida UMAO dichiara che l’olio Ventura è venduto a 14.500 lire al litro.

FRANCESCO BRANCATI (Pachino)
L’azienda agricola non ha un frantoio in proprietà, però ha un rapporto privilegiato con il frantoiano di fiducia; produce 6-7 quintali di olio ricavato da tre tipi di cultivar: la moresca, la verdese, la biancolilla, assemblate con diverse percentuali distanti da quelle assegnate dalla DOP (quello che da tempo andiamo sostenendo anche noi: la qualità non è solo DOP). La raccolta avviene in tempi differenziati a seconda della maturazione della cultivar, infatti la loro moresca matura già al 20 settembre; la molitura separatamente a poche ore dalla raccolta. Dopo la decantazione si procede alla miscelazione degli oli ottenendone due versioni: il fruttato medio e il fruttato intenso, se ne producono 1.000 - 1.500 bottiglie di diverso formato e viene venduto a 24.000 lire al litro. Molto interessante la ricerca di Brancati per l’abbinamento del suo olio con le pietanze; questo denota grande attenzione e amore nei confronti dell’olio. Per la guida UMAO l’azienda si estende per 8 ettari suddivisi in due diverse contrade (una pianeggiante, l’altra collinare) e possiede 400 piante tra secolari e di nuovo impianto; produce 40 quintali di olive e 700 litri di olio che viene venduto al prezzo di L.20.000 al litro.

GIANNI COSSEDDU (Seneghe)
Di loro, si sa poco o nulla. Solo che hanno un piccolo impianto di imbottigliamento a 4 becchi.
Raccolgono e frangono per cultivar che sono tré: la Bosana, la Tonda di Cagliari e la Terza. Si sa che agli inizi degli anni ‘90 chiedevano 6.000 lire al chilo e che oggi esportano anche nel Giappone un olio denominato “Sartos”. Interessante il fatto che gli assemblaggi di cultivar siano determinati anche dall’andamento stagionale (se molto umida o secca). Per la guida UMAO, l’azienda agricola possiede 84 ettari, produce 2.500 quintali di olive; la raccolta è meccanica e l’olio viene venduto a 19.000 lire al litro. Posso anche credere che tutti e sei abbiano superato brillantemente il Panel-test degli esperti della rubrica, ma come viene garantito il consumatore se non ha notizie certe sull’intera filiera produtttiva? Per fortuna si sono presi in esame, come recita il titolo, piccolissimi produttori: FRANCESCO GALDENZI lavora 1.000 quintali di olive; FRANCO VENTURA lavora 22.000 quintali di olive; GIANNI COSSEDDU lavora 2.500 quintali di olive. Non mi sembrano poi così piccoli come produttori. Ci chiediamo infine come si possa paragonare l’azienda Brancati alle altre. Quella di Pachino è un’azienda da imitare, avanti anni luce rispetto alle altre prese in esame. Ci auguriamo che questa azienda si possa dotare al più presto di un proprio frantoio (oggi
se ne producono di piccoli, a bassocosto e in grado di valorizzare la frangitura per cultivar e la diversa maturazione delle olive), sarebbe il tocco finale per l’esaltazione del loro prodotto.

Devo dire di aver letto tutto di un fiato l’articolo di Luigi Caricato su Capital di marzo 2001. Peccato non gli abbiano concesso più spazio.Bene ha fatto a rimarcare le differenze degli oli dovute non solo alle varie cultivar, ma anche ai luoghi dove vengono coltivate.
Anch’io sono convinto che gli oli possono essere diversi come profumi e sapori e che non esistono oli più leggeri o più pesanti, come certa pubblicità vorrebbe farci credere la conoscenza di queste qualità aiuterebbe di sicuro a far riconoscere gli oli di maggior pregio. L’articolo - in alcuni passaggi - mi ha lasciato un po’ perplesso.
Che nell’elenco delle DOP manchi il Garda Bresciano - zona di produzione tra le più qualificate - è sicuramente da imputarsi a una svista redazionale, invece penso sia un errore la definizione di “Gru” per gli oli proposti. Infatti “Gru” dovrebbe designare l’olio ottenuto da olive di un particolare territorio vocato e delimitato. Ma c’è dell’altro. Non ho avuto la fortuna di assaggiare personalmente gli oli proposti, ma dalla Guida Veronelli (curata dallo stesso Caricato) e quella UMAO, ho potuto trarre alcune notizie che mi fanno dubitare sulla qualità così sorprendente di questi oli. Sono più che mai convinto, come anche l’articolo recita, che la raccolta per cultivar e la frangitura con frantoio aziendale possano portare a livelli altissimi la qualità. Sono pure convinto che oggi sono i frantoi a poter produrre l’olio migliore, in quanto possono selezionare, tra le tante olive, le migliori e frangerle(Calabria), Le Palombe (Umbria), Petra (Toscana), Pezzi (Emilia Romagna), Serego Alighieri (Veneto), sono tutte aziende che non posseggono un frantoio aziendale e quindi sono costrette a rivolgersi al trasformatore, magari con macchinari obsoleti, mettendo in pericolo la qualità del loro olio. Le sorelle Gabrielloni (Marche) sono invece frantoiane con grandi numeri, acquistano olive nelle Marche, in Umbria, in Abruzzo e producono anche oli profumati al limone, al rosmarino all’aglio. Gli oli aromatizzati in un box dell’articolo vengono però (giustamente) vituperati.